Insetti e cucina italiana: nessun contrasto, ecco perché

Insetti e cucina italiana: nessun contrasto, ecco perché

Prova a immaginare: sei a cena con i parenti, hai appena raccontato di aver assaggiato i cracker Small Giants a base di farina di grillo, sostenibili, nutrienti e gustosi, e metà dei presenti ti guarda con aria scioccata. “La cucina italiana non si tocca”, dicono. Mantieni la calma: ti diamo noi qualche argomentazione per rispondere e per far capire perché consumare insetti non distruggerà la tradizione culinaria italiana.

Si può essere fieramente amanti della cucina italiana e contemporaneamente mangiare insetti  per almeno tre ragioni:

- Il gusto è un prodotto culturale e come tale è in costante cambiamento;
- La cucina italiana non è chiaramente definibile e anzi, si distingue per la sua intrinseca mutabilità;
- Una qualsiasi novità alimentare passa dall’essere strana ad accettabile attraverso il principio di sostituzione (è già successo con il pomodoro, ad esempio).

Il gusto è un prodotto culturale 

Torniamo ai parenti che ti guardano male. Fai loro questa domanda: a quale cucina italiana ti riferisci? Quella di un anziano nato e cresciuto in Veneto, o quella dell’influencer che su TikTok mostra le cinque pizze più buone che puoi mangiare a Napoli? Entrambi sono italiani, eppure le loro abitudini alimentari e i loro gusti sono radicalmente diversi. Per esempio, mentre l’influencer di Napoli andrà spesso a mangiare sushi o messicano con gli amici, l’anziano veneto non avrà probabilmente assaggiato una semplice pizza fino agli anni Cinquanta o Sessanta -quando le prime pizzerie si sono diffuse nel Nord Italia- e preferirà piuttosto un piatto di polenta con formaggio fuso. Il concetto di “cucina italiana” può variare molto per fattori geografici, storici o anche, più banalmente, per moda.

L'antropologo francese Claude Lévi-Strauss affermava che ciò che è "buono da mangiare" deve prima di tutto essere "buono da pensare". Lo storico dell'alimentazione Massimo Montanari  esprime un concetto simile in modo ancora più esplicito: "L'organo del gusto non è la lingua, ma il cervello". Entrambi intendono che il gusto non si limita a ciò che percepiamo in bocca, ma è anche una questione di cultura, tradizioni e conoscenze che si evolvono nel tempo e nello spazio.

Lo stesso vale per il disgusto. Se in Occidente l’idea degli insetti come cibo è ancora considerata strana, ci sono più di 2 miliardi di persone nel mondo che li mangiano quotidianamente e ne sono ghiotti. La differenza tra chi tradizionalmente mangia o non mangia insetti, non è una diversa percezione del sapore, ma semplicemente una diversa opinione su che cosa sia buono da pensare e quindi anche da mangiare. E queste opinioni -essendo opinioni, pensieri- sono destinate a cambiare, evolversi nel tempo, in risposta a nuove esperienze, influenze culturali e cambiamenti sociali.

La cucina italiana, come ce la immaginiamo, non esiste

La nostra cucina fa parte di un immaginario più ampio, quello della “cucina mediterranea”, fatta di olio d’oliva, pesce, frutta, verdura, e una serie di altri alimenti e ricette simbolo della salute a tavola. Nessuno si ferma mai a pensare che i paesi che si affacciano sul Mediterraneo sono più di una ventina, ciascuno con i propri piatti tipici, talvolta molto diversi tra loro. Questa diversità nelle abitudini alimentari vale ancora di più per la nostra amata penisola. Se ci pensi bene una stessa ricetta può variare non solo da regione a regione, ma addirittura da famiglia a famiglia! Qui nasce il paradosso: vorremmo racchiudere le nostre tradizioni culinarie in un unico grande insieme chiamato “cucina italiana”, ma la verità è che la nostra cucina è caratterizzata dall’estrema varietà e dalla continua contaminazione culturale. Ecco perché non dovrebbe essere così strano pensare di vedere cracker a base di farina di grillo sulle nostre tavole.

Per esempio, parliamo di uno dei piatti simbolo della cucina italiana: lo spaghetto al pomodoro. Secondo il libro “Il Mito delle Origini” di Massimo Montanari, se oggi siamo riconosciuti in tutto il mondo per gli spaghetti, questo lo dobbiamo agli arabi che, nel IX secolo, hanno occupato la Sicilia e ci hanno insegnato la tecnica di seccare la pasta. Mentre per il pomodoro… beh, sappiamo tutti che il pomodoro ha ben poco di italiano nelle sue radici. Più precisamente, in Italia è stato importato per la prima volta dagli spagnoli, dopo l’occupazione del Messico nel 1519. Come accade per tante novità importate dal nuovo continente, inizialmente il pomodoro rimane una curiosità botanica, vista con un certo sospetto. Viene accettato quando si inserisce nella tradizione delle salse, ampiamente usate in Europa, e solo nel '900, grazie ai napoletani, diventa il condimento principale di quelli che oggi chiamiamo "spaghetti al pomodoro”.

Tirando le somme, non avremmo mai inventato gli spaghetti se gli arabi non ci avessero insegnato a produrre la pasta secca e non ci avremmo mai aggiunto il pomodoro se gli spagnoli non avessero conquistato il Messico. Ma allora cos’è che rende questo piatto un simbolo della nostra cucina? Più che il cosa mangiamo, forse è il come lo mangiamo che fa la differenza tra cosa è più o meno nello stile italiano. E questo può valere per qualsiasi prodotto, anche a base di farina di insetti.

 

Articolo scritto in collaborazione con Chiara Forlani, dottoressa in Scienze e Tecnologie Alimentari

Se volete continuare il viaggio nella scoperta delle nuove frontiere culinarie e delle tradizioni gastronomiche in evoluzione, vi invitiamo a leggere il prossimo articolo, dove esploreremo il concetto affascinante che ogni novità alimentare, anche la più insolita inizialmente, può diventare parte integrante della nostra cultura gastronomica attraverso il principio di sostituzione. A presto!

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